“E’ una categoria molto discussa, spesso nell’occhio del ciclone, quasi sempre capro espiatorio dei problemi causati da altri. E’ un mestiere assolutamente individuale, nel senso che ti lascia molto, troppo solo con te stesso e con i tuoi clienti: questi ultimi, non sempre persone per bene… Eppure, è un’attività fondamentale, perché supporta il sistema complessivo di trasporto pubblico locale che soffre da tempo di gravi difficoltà. E’ il taxista: artigiano di servizi e filosofo per necessità. Questo, almeno, ha scoperto un giornalista di Lodi, viaggiando con il nostro associato Vito Tangorra, in un bell’articolo che vi offriamo volentieri”.

Gratti il taxista, trovi il filosofo di Andrea MAIETTI

Zio Ettore. Un uomo inseguito dal destino. Il cancro gli aveva rubato la moglie trentenne, e un figlio di due anni più giovane. Ogni volta ingoiava il magone vangando nell’orto. Passavo qualche volta da lui, con la scusa dell’insalata. In verità per rubargli la ricetta esistenziale. Lui alzava le spalle, tagliava corto: «S’em da fa? L’è la vita». E tirava dritto per la briscola all’osteria. Una sola volta l’ho visto rabbuiato: «Sono andato fino alla chiesa – mi disse – Volevo parlare col prete. Era tutto chiuso». Abbiamo tutti bisogno di parlare qualche volta con qualcuno. C’è lo psicologo, ma costa e mette imbarazzo. Poi c’è il prete. Ma anche il barbiere può andare bene. E il bottegaio, dove sopravvive una bottega. Della categoria degli ascoltatori è pure il taxista. Se capiti bene, è meglio di un alka-seltzer. A furia di ascoltare sfoghi dai clienti, i taxisti diventano filosofi. Conosco uno di loro. In pensione da poco. Giocava ogni settimana al lotto: «Se vinco – diceva – compro una cascina. E mi ritiro a vivere in campagna». Andava a funghi, per il piacere di sentire lo scriccar delle scarpe sul tappeto delle foglie cadute. Riconosceva d’acchito e distingueva passeri, cince, merli, fringuelli, rossignoli. Pareva avesse letto Thoreau: «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto». Lo scorso agosto, a Piacenza. Ero di ritorno da Cesena. Per soppressioni e ritardi dei treni ci avevo messo sei ore, invece delle tre contemplate dalla tabella. In partenza finalmente per Lodi l’annuncio funesto, l’ultimo della giornata: «Per incendi sui binari partiremo appena possibile. Ci scusiamo per il disagio». Il taxi è un salasso, ma in certe congiunture ti risparmia l’ultimo stress. Così ho conosciuto Vito, quarantenne padre di famiglia, da dieci anni taxista, da sempre il sogno di ritagliarsi uno spazio di vita da cantautore. È approdato su You Tube con la sua prima canzone (Vito Tangorra, Ad uno ad uno). Gradevole la musica, ben accordata al testo, che dice tra l’altro: «Ho 43 anni e non sono laureato, ma di questo mi son già pentito. Tutti i giorni sulle strade il pane devo guadagnare, ma ai miei figli di serenità e futuro gliene potrò parlare? Io faccio parte di una nuova generazione, gli ideali non li guardo ma seguo la ragione. Sono convinto e lo dico a modo mio che chi ci può salvare è solo il buon Dio». Tra Piacenza e Lodi abbiamo parlato del mondo e della vita. All’arrivo, ci siamo stretti la mano, entrambi dell’esiguo partito dei “superstiti”. «Se permette – ha detto Vito – l’autostrada la pago io»

Il Cittadino 22/09/2012